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Callimaco

La chioma di Berenice

Edizione Acrobat

a cura di

Patrizio Sanasi

(patsa@tin.it).ÁITIA IV, fr. 110 Pf.

Colui che vide nei segni celesti l'orbita, là dove si volgono

..... Conone scorse me nell'ètere, ricciolo di Berenice, che ella consacrò a tutti gli dèi

[pegno della notturna ... lotta?]

..... [magnanima?]

..... lo giurai sul tuo capo e sulla tua vita

..... a forma di spiedo per buoi, della tua madre Arsinoe, il luminoso figlio di Thia travalica, e le funeste navi dei Medi

attraversarono l'Athos. Cosa potremmo fare noi, riccioli, se tali montagne cedono al ferro? Perisca la stirpe dei Calibi!

Per primi scoprirono il ferro, mala pianta che spunta dalla terra, e insegnarono l'opera dei martelli.

Mi piangevano, tagliata appena allora, le sorelle chiome e sùbito irrompeva, muovendo a cerchio le veloci penne, un

lieve vento, fratello dell'etiope Mèmnone, cavallo della locrese Arsinoe dalla cintura di viole ... mi [rapì] in un soffio e

portandomi nelle brume dell'aria mi depose nel seno di Cipride. Proprio la Zefiritide, che abita la riva di Canòpo, allo

scopo lo ........ Perché per gli uomini ..... annoverata tra le molte stelle, non solo ..... della sposa figlia di Minosse, ma

anch'io vi fossi, bella chioma di Berenice, Cipride mi pose, mentre salivo bagnata dalle acque verso gli immortali,

nuova stella tra le antiche.

prima ...... al tramonto nell'Oceano

...... ma se anche .....

perché non .... s'adiri .... nessun bue tratterrà la parola ...... l'ardire altre stelle ......

non mi sono tanto gradite queste cose, quanto mi addolora non poter più toccare il suo capo, lontano dal quale non potei

godere dei profumi femminili, io che molti semplici ne ho bevuti, finché era ancora vergine.

vicini ....

.... Acquario e .... Orione.

CATULLO, LXVI

Chi scrutò dell'immenso firmamento

tutte le luci e apprese delle stelle

albe e tramonti e come il fiammeggiante

lume del sole rapido si oscuri

e in tempi fissi le costellazioni

vengano meno e come il dolce Amore

tra le rocce del Latmo di nascosto

spinga lontano Trivia, dirottandola

dal suo giro nell'aria, quel Conone

nel chiarore celeste vide me,

una ciocca recisa dalla chioma

di Berenice, fulgida splendente,

che, tendendo le braccia levigate,

ella promise a molte dee, nel tempo

in cui, accresciuto dalle nuove nozze,

il re si era recato a devastare

le terre degli Assiri. Con sé aveva

dolci le tracce del notturno assalto

condotto alla conquista della vergine.

Hanno davvero un odio per l'amore

le nuove spose, oppure è falso il fiume

di lacrimette, sparso sulla soglia

della stanza nuziale, a render vana

la letizia del padre e della madre?

Così mi favoriscano gli dèi,

non sono vere lacrime: l'ho appreso

dal pianto intenso della mia regina,

quando il nuovo marito era sul fronte

di sinistre battaglie. O non piangevi,

rimasta sola, il letto abbandonato,

ma piuttosto il distacco doloroso

da un amato fratello? Quanto in fondo.fin nelle fibre invase da tristezza

l'ansia ti consumò! Come la mente

per la totale angoscia venne meno

e i sensi ti mancarono! Ma pure

avevo conosciuto il tuo coraggio

da quando eri bambina., O non ricordi

l'azione ben condotta - nessun altro

ne avrebbe con più forza l'ardimento -

con cui ottenesti per marito un re?

Ma che tristi parole hai pronunziate

allora, alla partenza dello sposo!

Per Giove, quanto spesso con la mano

sfregasti gli occhi! Qual è il grande dio

che ti mutò? E gli amanti perché mai

non vogliono restare separati

dal corpo amato? E allora agli dèi tutti

mi promettesti per il dolce sposo

- ed il sangue di toro non mancava -

se ottenesse il ritorno. In breve tempo

egli aggiunse ai confini dell'Egitto

la conquista dell'Asia. Ed io per questo,

resa al consesso dei celesti, sciolgo,

con un'offerta nuova, un voto antico.

Regina, a malincuore dal tuo capo,

a malincuore, mi staccai. Lo giuro

su te e sul capo tuo. Chi giura il falso

abbia la giusta pena. Ma col ferro

chi può stare alla pari? Anche quel monte,

il più alto di quanti sulla terra

travalichi passando il luminoso

figlio di Thia, venne abbattuto, quando

dettero vita i Medi a un nuovo mare

e in mezzo all'Athos navigò su flotta

la gioventù dei barbari. Se al ferro

cedono cose tali, dei capelli

cosa faranno mai? Tutta la razza

possa andare, per Giove, alla malora

dei Càlibi e di quanti sotto terra

per primi ricercarono la vena

e la tempra forgiarono del ferro!

Piangevano il mio caso le sorelle

della chioma, staccate poco prima,

quando il gemello dell'etiope Mèmnone

si presentò da me, cavallo alato

della Locrese Arsinoe, aprendo l'aria

col moto oscillatorio delle penne.

E, portandomi via, passò tra le ombre

del cielo in volo e dentro il casto grembo

di Venere mi pose. A questo scopo

aveva delegato il servo suo

la greca Zefiritide, abitante

sui lidi di Canòpo. Qui la dea,

- perché non solo la corona d'oro

dalle tempie di Arianna avesse posto

nel vario lume del divino cielo,

ma vi mandassi luce anch'io, la spoglia

offerta in dono da una testa bionda, -

mi pose, tra le antiche, stella nuova

che si accostava al tempio degli dèi

umida un poco d'acqua. Della Vergine

e del fiero Leone tocco gli astri,

nei pressi di Callisto Licaonia.volgo al tramonto, dirigendo il corso

dinanzi al lento Boote, che si immerge

nell'Oceano profondo, a stento tardi.

Ma sebbene mi calchino di notte

i passi degli dèi, mentre la luce

alla candida Tethi mi riporta

(mi sia lecito dirlo con tua pace,

Vergine di Ramnunte, non potrei

coprire il vero per nessun timore

e non svelare in pieno il mio pensiero,

neppure a costo d'esser fatta a pezzi

dalle parole ostili delle stelle),

non mi dà tanta gioia questo stato,

quanto mi cruccia l'essere lontana,

esser lontana dalla mia padrona

e dal suo capo. Ed io, priva con lei

d'ogni profumo, finché fu fanciulla,

molte semplici essenze con lei bevvi.

Ora voi che la fiaccola congiunse

nel giorno atteso, non abbandonate

ai concordi mariti il vostro corpo,

tolta la veste e denudato il seno,

prima di offrire a me dall'alabastro,

dall'alabastro vostro lieti doni.

La polvere leggera beva invano

le male offerte delle impure adultere:

non chiedo doni alle persone indegne.

Abiti sempre, spose, la concordia,

sempre l'amore senza interruzione

dentro le vostre case. Tu, regina,

quando, guardando le costellazioni,

nelle feste farai propizia Venere,

non lasciare che resti io che son tua

senza offerte di unguenti, ma piuttosto

onorami con doni sontuosi.

Magari rovinassero le stelle!

Vorrei tornare chioma di regina:

presso l'Acquario splenda pure Orione!

UGO FOSCOLO - LA CHIOMA DI BERENICE. VOLGARIZZAMENTO DELLA VERSIONE LATINA

Quei che spiò del mondo ampio le faci

Tutte quante, e scoprì quando ogni stella

Nasca in cielo o tramonti, e del veloce

Sole come il candor fiammeo si oscuri,

Come a certe stagion cedano gli astri,

E come Amore sotto a' Latmii sassi

Dolcemente contien Trivia di furto

E la richiama dall'aëreo giro,

Quel Conon vide fra' celesti raggi

Me del Berenicèo vertice chioma

Chiaro fulgente. A molti ella de' Numi

Me, supplicando con le terse braccia,

Promise, quando il re, pel nuovo imene

Beato più, partia, gli Assiri campi

Devastando, e sen gìa con li vestigi,

Dolci vestigi di notturna rissa

La qual pugnò per le virginee spoglie.

Alle vergini spose in odio è forse.Venere? Forse a' genitor la gioia

Froderanno per false lagrimette

Di che bagnan del talamo le soglie

Dirottamente? Esse non veri allora,

Se me giovin gli Dei, gemono guai.

Ben di ciò mi assennò la mia regina

Col suo molto lamento allor che seppe

Vôlto a bieche battaglie il nuovo sposo:

E tu piangesti allora il freddo letto

Abbandonata, e del fratel tuo caro

II lagrimoso dipartir piangevi.

Ahi! tutte si rodean l'egre midolle

Per l'amorosa cura; il cuore tutto

Tremava; e i sensi abbandonò la mente.

La donzelletta non se' tu ch'io vidi

Magnanima? Lo gran fatto oblïasti,

Tal che niun de' più forti osò cotanto,

Però premio tu n'hai le regie nozze?

Deh che pietà nelle parole tue

Quando il marito accomiatavi! Oh quanto

Pianto tergeano le tue rosee dita

Agli occhi tuoi! Te sì gran Dio cangiava?

Dal caro corpo dipartir gli amanti

Non sanno mai? Tu quai voti non festi,

Propizïando con taurino sangue,

Per lo dolce marito agli Immortali

S'ei ritornasse! Né gran tempo volse

Ch'ei dotò della vinta Asia l'Egitto.

Per questi fatti de' Celesti al coro

Sacrata, io sciolgo con novello ufficio

I primi voti. A forza io mi partia,

Regina, a forza; e te giuro e il tuo capo;

Paghinlo i Dei se alcun invan ti giura;

Ma chi presume pareggiarsi al ferro?

E quel monte crollò, di cui null'altra

Più alta vetta dall'eteree strade

La splendida di Thia progenie passa,

Quando i Medi affrettaro ignoto mare

E con le navi per lo mezzo Athos

Nuotò la gioventù barbara. Tanto

Al ferro cede! or che poriano i crini?

Tutta, per Dio! de' Calibi la razza

Pèra, e le vene a sviscerar sotterra

E chi a foggiar del ferro la durezza

A principio studiò. - Piangean le chiome

Sorelle mie da me dianzi disgiunte

I nostri fati, allor che appresentosse,

Rompendo l'aer con l'ondeggiar de' vanni,

Dell'Etïope Mennone il gemello

Destrier d'Arsinoe Locrïense alivolo:

Ei me per l'ombre eteree alto levando

Vola, e sul grembo di Venere casto

Mi posa: ch'ella il suo ministro (grata

Abitatrice del Canopio lito)

Zefiritide stessa avea mandato

Perché fissa fra' cerchi ampli del cielo

La del capo d'Arianna aurea corona

Sola non fosse. E noi risplenderemo

Spoglie devote della bionda testa.

Onde salita a' templi de' Celesti

Rugiadosa per l'onde, io dalla Diva

Fui posto fra gli antichi astro novello.Però che della Vergine, e del fero

Leon toccando i rai, presso Callisto

Licaonide, piego all'occidente

Duce del tardo Boote cui l'alta

Fonte dell'Oceàno a pena lava.

Ma la notte perché degli Immortali

Mi premano i vestigi, e l'aurea luce

Indi a Tethy canuta mi rimeni,

(E con tua pace, o Vergine Rannusia,

Il pur dirò: non per temenza fia

Che il ver mi taccia, e non dispieghi intero

Lo secreto del cor; né se le stelle

Mi strazin tutte con amari motti),

Non di tanto vo lieta ch'io non gema

D'esser lontana dalla donna mia,

Lontana sempre! Allor quando con ella

Vergini fummo, io d'ogni unguento intatta,

Assai tesoro mi bevea di mirra.

O voi, cui teda nuzïal congiunge

Nel sospirato di, né la discinta

Veste conceda mai nude le mamme,

Né agli unanimi sposi il caro corpo

Abbandonate, se non versa prima

L'onice a me giocondi libamenti;

L'onice vostro, voi che desïate

Di casto letto i dritti: ah di colei

Che sé all'impuro adultero commette,

Beva le male offerte irrita polve!

Ché nullo dono dagli indegni io merco.-

Sia così la concordia, e sia l'amore

Ospite assiduo delle vostre sedi.

Tu volgendo, regina, al cielo i lumi

Allor che placherai ne' dì solenni

Venere diva, d'odorati unguenti

Lei non lasciar digiuna, e tua mi torna

Con liberali doni. A che le stelle

Me riterranno? O! regia chioma io sia,

E ad Idrocoo vicin arda Orïone.